20 Lug Il Gelato e l’inflazione percepita
Da alcune settimane a questa parte, il gelato sembra divenuto il nuovo termine comparativo per misurare l’inflazione. Tutti noi, con un certo sgomento, abbiamo assistito all’assurda quantità di commenti, da parte dei media mainstream, sul prezzo del gelato.
Quanti gelati poteva comprare un lavoratore con la sua paga vent’anni fa, e quanti ne può comprare oggi, quanto costava il gelato negli anni ’70 e quanto costa oggi, e così via infierendo.
Perché il mainstream ha preso il gelato come termine di paragone inflattivo, e perché i gelatieri ne escono (al solito in questi casi) con un’immagine deteriorata?
A mio modesto parere, il gelato riveste nell’immaginario collettivo un ruolo privilegiato. Il gelato consola, il gelato appaga, il gelato emoziona, il gelato è un elemento assolutamente positivo nella vita delle persone. Come si permettono (le gelaterie) di renderlo così “caro” quando svolge una funzione “sociale”?!
In effetti, ciò che dicono le persone intervistate nei vari servizi TV, è che il gelato sta diventando qualcosa d’elitario, che la gelateria è divenuta una boutique dove acquistare, a caro prezzo, dieci minuti di relax e refrigerio.
Personalmente non sono in disaccordo con tale visione, oggi il gelato costa effettivamente caro per essere considerato realmente popolare.
Tuttavia, vorrei proporvi una riflessione su ciò che non viene detto durante i vari servizi TV.
A tale scopo, vi allego due serie di grafici provenienti da fonti ufficiali.
Il primo evidenzia la crescita, in termini di prodotto interno lordo, dell’area Europea, rispetto agli Stati Uniti.
Se nel 2008 le due economie erano pressappoco confrontabili, nel 2023 l’economia USA è praticamente raddoppiata rispetto alla nostra EU che è invece rimasta al palo.
Cosa è accaduto? Mistero… chi mai può spiegarlo! Certamente non i media mainstream che si tengono ben distanti dall’area dell’ interpretazione!
Il secondo grafico, oltre a confermare i contenuti del primo, illustra in dettaglio cosa è accaduto all’interno delle singole economie EU negli ultimi quindici anni.
Scopriamo così che nell’area Euro, in particolare in Italia, in Spagna, e in Grecia, le persone guadagnano di meno, in termini reali, rispetto a quindici anni fa (sì, le sanzioni funzionano!).
Quindi la percezione del consumatore che “il gelato costa troppo” è reale nella misura in cui lo stesso non ha abbastanza denaro per acquistarlo con la frequenza e nella quantità di un tempo.
Spiegare ai nostri clienti che una gelateria è un’impresa economica che non può scostarsi da precise esigenze di redditività e sostenibilità (non in senso ecologico) è un discorso difficile da condurre, anche perché i media hanno abbondantemente instillato l’idea che il gelato è “troppo” caro. Certamente avrete visto ed apprezzato i commenti sul tema apparsi sui social media.
Non dico certo un’eresia affermando che le nostre imprese, come qualunque impresa economica, è soggetta a dei costi determinati dal sistema, dal mercato e dalla cogenza legale.
A parte il costo degli ingredienti -sappiamo quanto costano di più latte, zucchero, ingredienti in genere, ed energia!- se sono costretto ad accettare i pagamenti digitali, e quindi sono soggetto ad un esborso in termini di abbonamenti e commissioni, non posso certo non scaricare questi costi sull’unico soggetto economicamente attivo con cui mi interfaccio, ovvero il mio cliente.
Se il governo pensa al salario minimo, ed il suo valore sarà superiore a quello che attualmente pago ai miei dipendenti, chi si farà carico in definitiva di questa differenza? Provate ad indovinare…
C’è ovviamente un punto di rottura oltre il quale non si può andare con l’escalation dei prezzi. Questo perché aumenta si l’inflazione, ma non il reddito effettivo dei lavoratori e dei pensionati. Allora c’è da chiedersi quale sia il reale scopo di questa ondata inflattiva, che come annunciato continuerà.
Madame Lagarde ha infatti anticipato che i tassi della BCE continueranno ad aumentare per combattere l’inflazione!
Qualsiasi economista di buonsenso si metterebbe a ridere ascoltando questa affermazione, non così i nostri governanti, i nostri rappresentanti europei, e pure i giornalisti che ci elargiscono la verità conforme al pensiero unico. Pare credano tutti fermamente a questa fallimentare narrazione.
Oppure, perdonatemi il sospetto, il fine ultimo è quello di spazzare via tutta la microimpresa che caratterizza il sistema economico europeo ed in particolare quello italiano?
Avremmo così le condizioni perfette per spalancare le porte a tutte le multinazionali che non aspettano altra occasione per inserirsi prepotentemente in un ulteriore spazio di mercato (ricordate il raddoppio del PIL statunitense?).
Così i vostri (ex) clienti potranno allegramente degustare i gelati di Ben e Jerry’s ricordando quanto erano migliori quelli che facevate voi, e che costavano anche di meno alla fin fine. Ma ormai la vostra gelateria non esiste più…
Se solo leggiamo con attenzione i grafici che ho inserito, appare evidente che non è il gelato ad essere caro, ma è il sistema (con tutti gli annessi e connessi) che ha depauperato le tasche delle persone. Giorno dopo giorno, con azioni sistematiche e di piccola portata, ma che alla lunga rivelano tutta la reale dimensione catastrofica della crisi.
Ora, come di consuetudine, l’hype mediatico sul gelato si sta spegnendo per accendersi su qualche altra notizia di tendenza (il caldo eccezionale, la pioggia eccezionale, il vento solare, la peste aviaria dei gatti, ecc.), ma rimane la costante metodologia, messa in opera dal sistema mediatico, dell’attribuire le cause di un disagio a qualcosa, o qualcuno, che sia altro rispetto al sistema che ci governa.
Pensate solo al “surriscaldamento globale” causato dal fatto che noi (noi cittadini!) non usiamo la bicicletta, accendiamo il condizionatore e, ancora peggio, il riscaldamento d’inverno, mangiamo carne e beviamo del buon vino.
Cerchiamo di rimanere attenti e critici, e vigiliamo affinché non distruggano l’immagine e l’economia di una categoria che ha la sua importanza sia in termini economici che culturali.
Pierluigi D’Ambrosio